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Com’è
un essere umano? Cosa vuol dire essere sani e felici? E perché
il dolore e la gioia? E come si rimedia a un’umanità danneggiata
e logorata?
In questi ultimi anni antropologi, studiosi di evoluzionismo, di scienze
cognitive e neuroscienze, biologi, fisici, psicologi sperimentali, teologi,
storici e filosofi hanno fornito nuovi apporti che stanno radicalmente
cambiando il modo di vedere l’essenza più profonda e millenaria
degli esseri umani. Non possiamo più andare avanti con vecchie,
e pessimistiche rappresentazioni dell’essere umano dimenticando
la grandezza, sia in bellezza che in drammaticità, del suo sofisticato
e delicato percorso evolutivo.
L’autore riannoda i fili di orientamenti psicoterapeutici diversi
con i più recenti contributi della scienze umane per rispondere
a queste domande e per descrivere i disturbi psicologici come deterioramenti
di un insieme di pulsioni universali vitali e affettive, di un’ancestrale
disposizione al bene che è indispensabile alla sopravvivenza sia
individuale che della specie. Le persone soffrono quando sono snaturate,
come qualsiasi essere vivente fragile e delicato all’inizio della
vita, quando non sono più in grado di evolvere, di auto realizzarsi
e soprattutto di amare.
Così dalla stessa parte ritroviamo il primo antagonista di Freud,
Pierre Janet, e poi Balint, Maslow, Fromm, Bowlby, Bromberg, Mitchell
e tanti altri, per arrivare all’ultimo Yalom e a molti italiani
Pagliarani, Cancrini, Ammaniti, Recalcati e Orbecchi, passando attraverso
il contributo delle psicoterapie umanistiche e soprattutto di Eric Berne,
il fondatore dell’Analisi Transazionale.
In questo libro sono descritti prima di tutto gli esseri umani nella loro
bellezza originaria, e poi i passaggi necessari a ricrearne l’essenza,
quando è deteriorata, in un contesto di gruppo terapeutico permeato
di solidarietà e vicinanza. Un luogo dove poter sperimentare e
riattivare l’originaria voglia di amare, di vivere e condividere.
Sono in particolare riportate le tecniche per la riattivazione del primo
amore deluso, quello verso i genitori, perché la ferita più
profonda per un essere umano è la negazione della propria primaria
offerta affettiva, una disposizione al bene che è espansiva e fiduciosa
per natura, e che proprio in quelle relazioni, può essere stata
inibita o deviata.
Il bisogno primario non è quello di essere amato, ma quello di
amare.
Un testo innovativo che, mentre propone una piccola rivoluzione (lentius,
profundius, suavius) per il mondo della psicoterapia e della psicoanalisi,
è allo stesso tempo scritto in modo avvincente e alla portata di
tutti. Corredato di citazioni letterarie, poesie, lettere e casi concreti,
stimola a ripensare in grande e in modo radicale le professioni d’aiuto,
di supporto e sostegno. Ci invita a riscoprire un senso positivo per il
nostro passaggio sulla terra e a condurre una vita psicologicamente sana,
equilibrata, gioiosa e amorevole. Secondo natura.
Presentazione del libro
Presso la Casa della Cultura di Milano, 20 giugno 2016
Guarda
i filmati dei contributi:
- Introduzione
Giorgio Piccinino - psicoterapeuta e sociologo, partner del Centro Berne,
analista transazionale relazionale
- La
gratitudine e il cambiamento di sguardo in psicoterapia
Anna Barracco - Psicoterapeuta psicoanalista lacaniana
- Solidarietà,
appartenenza e il recupero della connessione corporea
Luciano Marchino - Psicoterapeuta e docente di psicologia somatorelazionale
- Gli
sguardi e i volti fiduciosi che trasformano
Silvia Pagani - Psicoterapeuta e analista adleriana
- Le
parole e il corpo: il come del terapeuta
Roberto Sassone - Psicoterapeuta analista reichiano, istruttore di mindfulness
psicosomatico
- L’insopportabile
complessità del genere umano e il luogo sicuro della psicoterapia
Delia Duccoli - Psicoterapeuta di scuola junghiana
- “Figlità”:
la responsabilità di essere figli di fronte alla propria storia
Marco Mazzetti - Psichiatra, analista transazionale didatta e supervisore
- La
psicoterapia come sguardo incantato di fronte all’umano e alle
sue storie
Alessandra Cosso - Giornalista, direttrice dell'Osservatorio
Storytelling, Consulente per le organizzazioni
Conclusioni di Giorgio Piccinino
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Recensione
a cura di Marco Mazzetti, psichiatra, psicoterapeuta, Analista Transazionale
didatta e supervisore.
Pubblicata in Neopsiche, N°20, 2016.
Tutti siamo figli. Dedichiamo in genere poco tempo a
soffermarci su questa verità incontrovertibile, forse proprio perché
la sua ovvietà ci sembra non meritare attenzione. Eppure, mentre
solo alcuni di noi diventano genitori, o partner affettivi (mogli, mariti,
amanti), o sorelle e fratelli, o sviluppano qualunque altra caratteristica
della nostra specie, figli siamo tutti. Tutti abbiamo dei genitori: sia
che li abbiamo conosciuti e abbiamo passato un tempo più o meno
lungo con essi, sia che non li abbiamo conosciuti mai, e solo immaginati
e fantasticati, siamo figli di qualcuno.
Si tratta forse dell’unica caratteristica umana che tutti ci accomuna
e, forse per la sua universalità così connaturata alla nostra
stessa esistenza, non è mai stata neppure coniata una parola per
definire questa condizione. Esiste il termine “genitorialità”
ma non “figlità”.
Un primo merito di quest’ultimo libro di Giorgio Piccinino è
quello di invitarci a riflettere sul nostro ruolo di figli: dopo tanta
letteratura sulle influenze dei genitori sullo sviluppo umano, Giorgio
ci propone di metterci in una prospettiva differente, e di considerare
quanto il ruolo dei figli sia un elemento attivo, dinamico e trasformativo
non solo nelle relazioni familiari, ma anche per lo sviluppo della personalità
dell’individuo. È una messa a fuoco preziosa, perché
invita ciascuno di noi ad assumersi la responsabilità della propria
vita e della propria stessa educazione affettiva, impadronendoci fino
in fondo del nostro ruolo di figli, dei suoi privilegi e degli oneri che
a esso sono legati.
Questo rovesciamento di prospettiva colpisce con intensità emotiva
il lettore fin dalle prime pagine, in cui Giorgio racconta, con parole
e momenti toccanti, il suo rapporto con il padre, e la lenta evoluzione
che questo ha avuto, non arrestandosi certo con la morte del genitore,
ma continuando nella memoria e nell’immaginazione. Mi sono commosso
leggendo quelle pagine per la loro autenticità, e anche perché,
quasi inevitabilmente, mi sono ritrovato a pensare a mio padre, morto
giovane da quasi quarant’anni, e la cui immagine nella mia memoria
non è mai stata statica, ma dinamica, evolutiva; in particolare,
sono tornato a pensare a lui con intensità negli ultimi anni, quando
ho prima superato con timore l’età che lui aveva quando è
morto, e sono poi diventato più vecchio di lui. E ora che vivo
quegli anni che a lui sono stati negati, lo penso con uno struggimento
che non mi sarei immaginato anni fa, e a tanto tempo dalla sua morte.
Ripenso al mio ruolo di figlio, a ciò che ho appreso da lui, alle
cose che di lui mi par di comprendere solo ora, a questa nuova empatia
che sento per lui e che sta in qualche modo arricchendo la mia educazione
filiale.
Nomino questa mia esperienza personale per dire quanto il racconto e l’approccio
di Piccinino non siano una testimonianza solo sua personale, ma un tema
probabilmente davvero universale o, per lo meno, io me ne sono sentito
toccato in questi termini.
La comprensione del nostro essere figli, dei significati che assume e
delle responsabilità che comporta per la nostra personale autorealizzazione,
è il punto di partenza di questo libro dedicato allo sviluppo della
competenza affettiva, per realizzare lo scopo delle nostre esistenze:
amare felicemente, e felicemente essere riamati.
La tesi di base, che condivido, è che la comprensione del punto
di vista dei nostri genitori, delle loro difficoltà quando ci sono
stati madri e padri, e delle gioie e dei drammi della loro vita, sia utile
per comprendere la complessità dei loro messaggi (detti e non detti)
e dei loro autentici sentimenti verso di noi; questa comprensione è
fondamentale per rivedere il nostro stile affettivo e la nostra capacità
di amare e di essere amati, e infine scegliere consapevolmente quale vogliamo
sia il nostro mondo relazionale oggi.
È un libro originale: benché nasca essenzialmente come un
testo di psicoterapia, esso ha una dimensione filosofica che ferma lo
sguardo sui significati della nostra esistenza; è un libro poetico
che non trascura la bellezza dei versi e delle suggestioni letterarie;
ed è un libro allegro, dove non mancano spunti umoristici, a ricordarci
che imparare, e crescere nella nostra umanità, non è necessariamente
un’impresa dolorosa o faticosa, ma anche una piacevole – e
spesso entusiasmante – avventura.
La struttura del libro parte con alcuni capitoli introduttivi, che da
una prospettiva evoluzionistica e biologica prima, filosofico-esistenziale
e neuroscientifica poi, e infine analitico-transazionale, definisce la
felicità come il frutto di relazioni felici.
In seguito si passa a quella che potremmo considerare un’eziopatogenesi
dell’infelicità, cioè di come gli eventi avversi della
vita ostacolino e limitino le naturali pulsioni dell’individuo,
che Giorgio Piccinino identifica in pulsione di Sopravvivenza, di Appartenenza,
di Conoscenza ed Evoluzione, e di Autorealizzazione. Nel fare ciò,
rilegge con originalità il concetto di ingiunzione, un elemento
chiave nella teoria del copione in Analisi Transazionale (Goulding McLure
e Goulding, 1979).
In base di queste premesse, i capitoli successivi propongono un approccio
psicoterapeutico da cui traspira un’attitudine ottimista e fiduciosa
nelle capacità degli esseri umani di perseguire la felicità,
che oltre a essere la personale visione di Giorgio Piccinino è
anche il cuore dei valori base dell’Analisi Transazionale (Berne,
1966) e del concetto di Physis (Berne, 1947).
L’autore ci conduce con attenzione attraverso un percorso di comprensione
empatica verso i genitori, le loro difficoltà, e le ragioni per
le quali si dimostrano a volte non adeguati nello svolgere un ruolo genitoriale,
e lo fa con quell’attenzione di figlio di cui si è detto
all’inizio: mai deresponsabilizzante dal lato dei figli (non è
“tutta colpa” dei genitori), e allo stesso tempo senza indulgenze
o atteggiamenti assolutori superficiali. Le responsabilità di ognuno
sono descritte, chiarite, comprese, a favorire un processo di empowerment
che è la strategia più promettente per una terapia riuscita.
Il testo arriva a questo punto al suo cuore: la psicoterapia dell’infelicità
e lo sviluppo della felicità, intesa essenzialmente come la capacità
di amare e di lasciarsi amare. Uno spazio ampio è lasciato al gruppo,
alla filosofia che sottende questo approccio terapeutico squisitamente
analitico-transazionale, ai suoi punti di forza e ai modi più efficaci
di elicitarli. Viene poi descritto un approccio in sette passi per identificare
gli eventi legati alla relazione primaria del figlio con la figura genitoriale,
comprendere il modo con cui questa ha influito sull’installarsi
di convinzioni copionali, e intervenire nella direzione desiderata. I
sette passi sono 1. Riflessione guidata per identificare stili accuditivi
materni/paterni e risposte adattive del figlio; 2. Analisi dei vissuti
“là e allora”; 3. Collegamento emozionale e comportamentale
con la vita attuale; 4. Drammatizzazione dell’evento invitando il
paziente a impersonare il genitore (con scopi analoghi a quelli della
classica “Intervista al genitore”, McNeel, 1976); 5. Analisi
degli stili affettivi attuali, e rivalutazione degli aspetti positivi
(amore non colto) del rapporto allora; 6. Rivalutazione dell’amore
filiale verso il genitore, quello che i Goulding chiamavano la capacità
di perdonare, e attuali tecniche di cura del trauma (EMDR, Shapiro, 2012)
chiamano “sentimenti ecologici”; 7. Applicare concretamente
nella vita attuale la capacità di amare riappresa.
A seguire, due trascritti di gruppo ci mostrano l’applicazione pratica
delle strategie terapeutiche discusse.
Le ultime pagine del libro tornano con intensità a quella dimensione
esistenziale e misuratamente lirica che mi ha tanto colpito all’inizio
e, anche se non si tratta di un romanzo, preferisco lasciare al lettore
il piacere di scoprirle da sé.
È a mio parere un libro assai ben scritto, che parla alle persone
che siamo prima ancora che al terapeuta in noi, ed è scritto in
un modo non gergale, che può essere letto e goduto anche da chi
non conosce l’Analisi Transazionale. Può essere anzi un ottimo
ambasciatore di ciò che è oggi l’AT anche tra chi
non conosce o non pratica il nostro approccio terapeutico.
È un libro che ci aiuta, per la sua umanità e autenticità,
a gustare il privilegio di svolgere questa magnifica professione, che
è un dono prima di tutto per noi che l’abbiamo scelta. Penso
che a Eric Berne sarebbe piaciuto.

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