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Psicoterapia

Le origini, il gruppo e la metodologia

Ho cominciato a fare lo psicoterapeuta nel 1985, ma era da qualche anno che frequentavo ambienti psicoanalitici, inizialmente seguivo Gino Pagliarani che allora si occupava anche di formazione. Ricordo un suo seminario “un buco nero nella formazione degli adulti”, era il 1978 credo e fu una rivelazione, così come lo furono poi i suoi gruppi di riflessione tematici, sempre così stimolanti , divertenti e ricchi. Gino era una persona coltissima, di grande umanità, ma ricordo soprattutto quel suo mantenersi allegro, ironico, ben radicato agli umori della sua terra di Romagna, era molto diverso dai suoi colleghi così intellettuali , distaccati, e “mentali”. Recentemente preparando un convegno ho riletto “casualmente” alcune pagine del suo libro “Il coraggio di Venere”, le ho subito utilizzate, eccole:

“Venire al mondo è già una proposta di bellezza, è eros che nasce. Il figlio dell’uomo nasce prematuro e perciò difettoso? No, nasce perfetto in quel suo momento evolutivo, da migliaia di anni nasce così, più o meno lunga sia stata la sua gestazione, in qualsiasi momento di essa venga alla luce il bambino nasce in perfetta evoluzione per poter diventare, col tempo e la cura, un essere umano del suo tempo.”

Che meraviglia per me ritrovare dopo tanti anni vestigia del senso del mio lavoro. Già perché queste parole che avevo dimenticato sono diventate negli ultimi anni il filo rosso del mio essere terapeuta e della mia ricerca, diciamo così, laicamente spirituale. Devo Gino la scelta di cambiare la mia vita di lavoro. Ricordo ancora quando gli chiesi "pensi che possa fare Lo psicoterapeuta?" Mi rispose di sì e mi diede da leggere tre libri di Donald Meltzer, un Kleiniano piuttosto oscuro che lessi con odio crescente. Non era per me. Ma Gino intanto mi aveva detto di sì. Poi più o meno nello stesso periodo cominciai a leggere Berne, che è tutta un’altra cosa. Gino mi rimase profondamente nel cuore ma la mente virò in modo per me più congeniale verso l’allora giovanissimo Centro Berne. E lì cominciò tutta un’altra vita, il mio primo psicoterapeuta fu Fabio Ricardi, ovviamente al Centro Berne. Mi diede una bella “sgrezzata”, mi aprì la mente, offrendomi una visione del mondo e di me stesso nuova, pacificata, riflessiva, aperta a tutto. E poi mi mostrò uno starordinario stile di terapeuta: rispettoso, paziente, disponibile, scientifico, spero proprio di averne conservato un po’.

Successivamente ho frequentato per due anni anche gruppi di gestalt con Guido Grossi, eccolo qui, con lui spesso si ballava fino allo sfinimento, per poi scarnificarci l’anima, era il suo modo, molto originale ed efficace, per allentare le difese. Gli devo la spudoratezza di essere se stessi anche con i pazienti, l’autenticità e la sperimentalità. Con la sua Gestalt, dura e potente, ho imparato a non spaventarmi mai di quello che incontro, alla fine emerge sempre dal cuore un grande dolore e una grande voglia di amare.

Poi ho incontrato Alberto Torre, che considero il mio vero padre professionale, ma forse anche qualcosa di più. Molte tecniche le ho imparate da lui, ma credo di essere stato molto influenzato per trovare il mio stile dalla sua umanità, dalla sua fiducia nel genere umano, dalla sua accoglienza incondizionata, fisica e mentale, dalla sua capacità di avere ben in vista sempre il nocciolo del problema, anche quando il paziente proprio non ce la fa.
Ancora oggi quando sento di aver bisogno di supporto vado in un suo gruppo, non importa quale, mi basta stargli accanto per ritrovare la sua luminescenza.
Con lui ritrovo, quando ne ho bisogno e un po’ vacilla,
il mio “coraggio di Venere”, la mia bellezza, finalmente senza paura di brillare e di porsi con tutte le sue ombre e limiti, ad aiutare gli altri. “Essere un fiore è profonda responsabilità” dice una poesia di Emily Dickinson che cito spesso.
Me lo devo ricordare, ogni tanto, ma con lui “dentro” ormai mi riesce quasi facile.

Tornando a me, faccio psicoterapia individuale, di coppia e di gruppo, secondo i casi, anche se quest’ultima è la metodologia che ormai prediligo pur iniziando sempre con colloqui a due. L’impronta analitico transazionale è comunque sempre rimasta molto forte nel mio modo di lavorare, anzi ultimamente mi sono forse ancora di più riavvicinato al suo impianto teorico, che trovo sempre ricchissimo e stimlante. E’ molto utile avere una “base sicura” tanto più quando ti consente qualche nuova scoperta o incredibili sincronie con altri approcci.



Perché in gruppo

 

Anche se all’inizio il gruppo può essere per qualcuno un ostacolo all'intimità e alla sincerità, una volta sciolte le difficoltà, diventa molto più forte la propensione all'apertura, allo svelamento di sé. Una persona che riesce a "confessare" in gruppo ciò che di solito non esprime mai, per vergogna o per sensi di colpa, si sente finalmente accolta nell'intimo, nel profondo.

Sentirsi capiti nei propri limiti e difficoltà, così come accorgersi che non si è i soli ad avere un certo problema, rasserena molto, favorisce l’accettazione di sé e l’assunzione di uno sguardo affettivo sia verso di sé che verso gli altri.
L'accoglienza allora è molto più profonda e consente di iniziare con consapevolezza, decisione e responsabilità il processo di cambiamento.

Ma poi c'è un vantaggio che riguarda la nostra antica e profonda natura di animali di gruppo: la vicinanza, l'intimità, la comunanza di pensieri ed emozioni, gli abbracci, i riconoscimenti riducono lo stress, danno euforia, felicità, eccitano e fanno diminuire i livelli di dolore, confortano nelle difficoltà, e soprattutto stimolano la cooperazione, la fratellanza e il benessere relazionale.

In questo senso la psicoterapia di gruppo è un modello di incontro relazionale che, una volta appreso, consente ai pazienti di rivalutare la pulsione di appartenenza realizzandola tanto nel gruppo che nella vita di tutti i giorni senza rinunciare affatto alla pulsione di autorealizzazione e di conoscenza e dunque alla propria individualità. Il gruppo favorisce poi la conoscenza “dell'altro da noi”, si può entrare nel suo mondo senza perdersi, senza rinunciare alla propria identità, così anche nel mondo si impara ad accettare la diversità e il diverso valore di ognuno.

Ci sono grandi vantaggi anche da un punto di vista operativo: per esempio è molto forte ed efficace un feedback dato a una persona da diversi partecipanti, che rappresentano sempre un po' il mondo là fuori. Rispetto a ciò che dice o fa uno psicoterapeuta gli altri sono spesso “la prova” finale, il loro parere di compagni di viaggio avvalora, approfondisce, esemplifica, generalizza quanto emerge nel lavoro terapeutico. Anche i “riconoscimenti” positivi espressi dai compagni di gruppo possono a volte colpire più a fondo di quelli del terapeuta che, seppure a torto, vengono in qualche misura considerati “dovuti”.

Si possono poi fare lavori sui sogni, psicodrammi e role play impossibili in un setting individuale. Così come si possono utilizzare gli altri partecipanti per esemplificare emozioni o comportamenti utilizzando diverse tecniche transazionali, gestaltiche, bioenergetiche ecc. e ancora per fornire una vicinanza fisica accogliente e affettuosa mentre il terapeuta resta fuori ad osservare.

Il gruppo, di conseguenza, è anche molto più emozionante rispetto al colloquio individuale, è più facile suscitare emozioni, regressioni, la temperatura è rapidamente calda e autentica e dunque facilita un lavoro profondo.

Voglio anche aggiungere che, benché il cambiamento sia pur sempre un evento intrapsichico quanto relazionale, è però nella relazione che si realizza praticamente perché è stato in una relazione che si è instaurato il nostro copione di vita e bloccata una possibilità di crescita. Creiamo un mondo relazionale nuovo favorevole all'ascolto, alla conoscenza "spudorata" di sé, al cambiamento, all'apprendimento, all'allenamento, all'errore, a un nuovo attaccamento con il terapeuta e gli altri, e infine all'allontanamento. Si riacquista una vitalità relazionale e affettiva nuova, ma anche un nuovo Genitore interno rappresentato inizialmente dal terapeuta e poi progressivamente dal gruppo stesso, come una nuova cultura costruita insieme, che offre Potenza, Permessi e Protezione, per il benessere individuale e collettivo insieme.
Un nuovo Genitore che favorisce un clima di sincerità e fiducia, di accoglienza e responsabilità, ma che sa anche dare, se serve, un po’ la carica.

Come questo starordinario Eric Berne, alla batteria.

C’è moltissimo da dire sulla psicoterapia, naturalmente, e da spiegare anche, cos’è l’Analisi Transazionale, per esempio, e come si distingue da altri approcci?
Per questo rimanderei ancora al sito del Centro Berne www.berne.it, in diverse sezioni si possono leggere i nostri valori e le nostre peculiarità.

Credo che comunque la cosa essenziale sia dire che l’AT si pone come una delle pochissime metodologie terapeutiche a cavallo fra l’analisi del passato e la cura del presente. Insieme a quasi tutte le psicoterapie nate recentemente (gestalt, bioenergetica, sistemica, cognitivismo ecc.) osserva e aiuta ad essere consapevoli e a cambiare il “qui e ora”, attraverso l’analisi delle transazioni, dei giochi, dell’espressione degli Stati dell’Io, dell’Economia delle carezze, ecc. Ma all’occorrenza è in grado di effettuare un lavoro regressivo e profondo per sviluppare un cambiamento definitivo della personalità.

Le tecniche che utilizziamo di ridecisione, di de confusione, di ri genitorizzazione ecc. hanno l’obiettivo di modificare le premesse infantili di un comportamento diventato abituale (Copionale diciamo noi) ma risultato patologico o disfunzionale per la vita attuale. Un lavoro quindi di stile psicoanalitico seppure adattato ai più recenti sviluppi delle tante scuole psicodinamiche individuali e di gruppo.

Al centro Berne (che ricordo è stato uno dei primi a introdurre l’Analisi Transazionale in Italia nel 1978) negli ultimi anni siamo cresciuti notevolmente, attualmente (2016) siamo 7 soci e 9 colleghi che operano stabilmente con noi in Piazza Vesuvio.
Insieme facciamo supervisione e aggiornamento professionale attraverso riunioni periodiche, ci informiamo reciprocamente delle novità e se qualcuno va a un Convegno poi lo racconta agli altri. Insomma siamo un gruppo che non smette di evolvere.

Le foto qui di fianco ritraggono i soci. La prima è di circa 20 anni fa con la presenza di Maria Luisa Pisani, una delle fondatrici successivamente scomparsa.
Mentre la seconda è dell’anno scorso dopo l’entrata di Silvia Allari e Gabriela Manzella.

Gabriela, come tutti sapranno, ci ha lasciato a gennaio di quest’anno dopo una breve e invincibile malattia, non abbiamo avuto ancora cuore di rifare una nuova foto, ci fa ancora troppo male pensarlo.


 

Cenni di metodologia

Il brano qui riportato è una parte di un’intervista “coaching, counseling e pscoterapia” rilasciata per il sito www.tibicon.net , il resto può essere letto nella sezione relativa al counseling.

INTERVISTA A TIBICON (Assieme alle foto dei miei soci)

Il brano qui riportato è una parte di una intervista apparsa su www.tibicon.net

E la psicoterapia?

Quando dico che faccio lo psicoterapeuta quasi sempre i non addetti ai lavori mi domandano come faccio ad ascoltare continuamente persone che si lamentano, che stanno male, che portano sofferenza e disagio anche rilevanti. Si immaginano un lavoro logorante, pesante, opprimente. E’ incredibile, forse hanno in mente ancora lo psicoanalista classico, una specie di prete serio e silenzioso, contegnoso e austero. Insomma hanno un’idea della psicoterapia come una specie di calvario, un percorso di sofferenza pieno di trappole in cui il paziente (molto paziente) viene condotto alla ricerca di una sua qualche mostruosità interiore da estirpare.Ma chi mai farebbe da Virgilio in un inferno simile?

In realtà durante i primi incontri è pur vero che uno psicoterapeuta deve in genere ascoltare con attenzione e vicinanza lunghe storie di dolore e difficoltà, ma poi prevale di gran lunga il tragitto verso la rinascita. Più che a contatto con la sofferenza io mi sento a contatto con la gioia della cura e della guarigione. Per me è un lavoro bellissimo. Non ci sono tanti lavori così, e questo vale anche per il counseling, in cui si prende per mano qualcuno e si cammina al suo fianco verso una vita nuova. E di cui poi se ne ha anche qualche merito. Un altro bel pregiudizio riguarda il contenuto del lavoro: molti credono che si tratti di un percorso intellettuale, astratto, tutto mentale, credono che si vada dallo “strizzacervelli”, (termine veramente incongruo!), per pensare e approfondire, una specie di minuziosa indagine del profondo, dove lo psicoterapeuta ti spiega non solo le tue idee, ma anche come sei fatto e ti racconta per bene come dovresti essere. Si immaginano per lo più delle conversazioni un po’ astruse sui massimi sistemi, cervellotiche elucubrazioni interminabili, anche se certo affascinanti, per un certo pubblico intellettuale. Del resto molta letteratura, pressoché incomprensibile ai comuni mortali, è lì a confermare tutto questo.

Una prima parte della terapia serve a conoscersi reciprocamente e a trovare una sintonia, un’alleanza verso un obiettivo di consapevolezza e di cambiamento che deve essere condiviso.


Dobbiamo creare una sorta di comunione di intenti e di metodo.
Si lavorerà insieme e dunque l’obiettivo, e il modo in cui lo si persegue, deve essere condiviso. Dobbiamo pensare che il paziente e lo psicoterapeuta sono fisicamente e umanamente fianco a fianco e che l’itinerario che si farà sarà sempre chiarito, passo dopo passo.
Poi, dopo un po’, quando il paziente è pronto (e d’accordo) entra in un gruppo, almeno per chi fa psicoterapia di gruppo, come da noi. Entra in un gruppo in genere di otto persone, preesistente e già formato da anni, con una sua cultura speciale, con proprie usanze e modelli di relazione, il luogo ideale per fare terapia, secondo noi.
Man mano che le persone si aprono e parlano di sé anche i comportamenti più devianti e difesi, più limitati e problematici, svelano la loro ragion d’essere storica, mostrano da quale ambiente familiare inappropriato sono derivati, da quali traumi e mancanze d’amore scaturiscono. A tutti diventa chiaro che quelle sofferenze (non mi va proprio di chiamarle patologie) hanno un’origine, un nome, un cognome e un indirizzo di partenza, un tempo d’incubazione e di conferma che le ha rese, in un certo senso, inevitabili.

Così nei gruppi si impara a capire l’altro e a guardarlo con compassione e tenerezza. E anche il singolo lo fa: comincia a volersi bene e ad accogliersi, a capire che se pure è diventato così, così non era all’origine, e dunque cambiare si potrà. Questo è spesso il momento delle lacrime e dei singhiozzi o delle rabbie finalmente liberate o delle paure non più represse.
La pentola si scoperchia pure, ma tutto questo avverrà insieme ad altri che ti conoscono intimamente e che ti accoglieranno. Ci sarà qualcuno che tiene la mano, qualcuno che contiene e protegge, qualcun altro che piange con te, perché è stato, o è, come te.
E poi il gruppo sarà il luogo dove cominciare a sperimentare subito, proprio qui davanti a tutti, i nuovi permessi mai ricevuti, le nuove modalità di relazione sane e finalmente soddisfacenti.

Alle lacrime e alle urla si sostituiscono i sorrisi, il vittimismo è rimpiazzato dal coraggio e dalla presa di responsabilità. Presto si capisce che ora tocca a ciascuno prendere la vita nelle proprie mani e cambiare se stesso, mentre il terapeuta è lì a far scoprire diverse opzioni, nuove libertà, altri modelli di comportamento, nuove possibilità.

E poi vorrei essere esplicito anche di più: gli esiti delle psicoterapie non sono squarci di conoscenza e consapevolezza, non solo almeno, il finale è un cambiamento concreto, bello evidente, di quelli da raccontare. C’è chi riprende a fare l’amore, chi smette di scappare dalle relazioni, chi trova finalmente un lavoro soddisfacente, chi dimagrisce e sconfigge l’obesità e chi ingrassa un po’, chi dorme dopo anni d’insonnia, chi impara ad amare se stesso e chi il prossimo, chi si trova un amore e chi resta finalmente incinta, chi sente le emozioni e alla buon’ora ride, chi smette di avere paura e di nascondersi, chi impara ad avere rapporti intimi e chi a difendersi dall’invadenza degli altri, chi smette di lavorare come uno schiavo e chi impara a lavorare e a concludere qualcosa nella vita, chi diventa grande e chi ricupera la propria parte bambina, chi compra finalmente casa e chi invece da casa se ne va, chi riconquista la propria mascolinità e chi la propria femminilità, chi si accetta com’è e chi smette di accontentarsi di com’è.